I GIAPPONESI E IL CONCETTO DI QUALITA'

La Qualità giapponese vista nella sua evoluzione storica


qualita giapponese

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La gestione della qualità può essere definita come un approccio che deve coinvolgere tutta l'organizzazione e che tende a comprendere esattamente cosa desidera il cliente e a fornirlo nel rispetto del budget, delle tempistiche e delle esigenze degli stakeholder.

Per capire meglio questo concetto, rispolveriamo tre aforismi piuttosto noti tra gli addetti ai lavori:

"Qualità è conformità ai requisiti" (Philip B. Crosby)
"Qualità è qualcosa di adatto all'uso che se ne deve fare" (Joseph Juran)
"La cosa giusta da fare è produrre merci di qualità che le persone acquistino e tornino ad acquistare. Se poi riusciremo a produrle in modo efficiente, individuando i possibili risparmi, allora e solo allora avremo un profitto sicuro " (William Cooper Procter)

La storia delle produzioni giapponesi ci insegna che qualità ed affidabilità sono sempre stati due attributi fondamentali nella mentalità delle aziende del Sol levante, a partire dal lontano 1946 quando, iniziò la grande storia del movimento della qualità giapponese.

Fu, però, grazie al lavoro di un famoso studioso americano, Edwards William Deming e ai suoi seminari sponsorizzati dalla Union of Japanese Scientists and Engineers che i concetti della metodologia iniziarono a diffondersi all'interno delle fabbriche.
I giapponesi furono talmente grati a Deming da istituire un premio per la qualità che porta ancora oggi il suo nome, il Deming Prize, che fu vinto per la prima volta nel 1952 da Koji Kobayashi, il presidente della NEC.

Due anni dopo, fu un altro famoso americano, il dottor Joseph M. Juran, ad avere il merito di spostare il concetto di qualità dalla produzione all'intera organizzazione.
Il grande contributo che Juran fornì alle fertili menti giapponesi fu quello di parlare per la prima volta di "sistemi pensanti" che hanno inizio con la progettazione del prodotto e terminano con un accurato feedback del processo. In buona sostanza, fu promosso il passaggio dal controllo statistico della qualità alla Qualità Totale.

Qualche anno dopo, nel 1968, un altro grandissimo studioso, questa volta giapponese, definì gli elementi chiave di un sistema basato sui concetti della Qualità Totale. Si chiamava Ishikawa e questo fu quello che delineò:

  • non bisogna concentrarsi sui profitti a breve termine ma sulla qualità che deve avere sempre la priorità assoluta;
  • chi produce deve avere il coraggio di mettersi in secondo piano rispetto alle esigenze del cliente;
  • non devono esistere barriere all'interno di un'organizzazione. Ricordiamo che il nostro processo finale deve sempre tendere al cliente;
  • le decisioni devono basarsi sui fatti e su dati certi;
  • la gestione della qualità deve essere partecipativa e rispettosa di tutti i lavoratori

A tutto questo Ishikawa aggiunse nel 1985 il fondamentale concetto che il management deve essere guidato da una visione ampia che parte dalla pianificazione e arriva fino alla produzione.

Nel 1991 in Giappone si contavano più di 300.000 Circoli della Qualità con due milioni e mezzo di persone che vi partecipavano.

Il Kaizen

Il termine giapponese che definisce i concetti di "miglioramento" e "cambiamento verso una situazione migliore" è Kaizen e si riferisce a quella filosofia che nel Paese è stata applicata i moltissimi campi estremamente diversi tra loro: sanità, sistema bancario, ecc.

Sono sette le condizioni da rispettare perché il Kaizen possa avere successo all'interno di un'organizzazione:

  • parlare della metodologia e ricordarne ogni giorno i concetti principali;
  • sentirsi coinvolti in prima persona nel processo di miglioramento continuo;
  • allocare le risorse necessarie per provocare il miglioramento auspicato;
  • formare alcune persone che abbiano il compito specifico di promuovere il Kaizen;
  • mettere gli uomini migliori ad occuparsi della metodologia;
  • formare le persone in modo continuo e farle crescere migliorandone le performance;
  • implementare il processo step-by-step, senza fretta

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La Qualità Totale

L'altro grande concetto manageriale sviluppato dai giapponesi è il Total Quality Management le cui basi si possono ricondurre alla volontà di ridurre gli errori che fanno capo al processo produttivo o di erogazione del servizio, incrementando la soddisfazione del cliente, gestendo al meglio la catena delle forniture e formando tutti i lavoratori in modo che possano dare un contributo attivo al processo.

Le sei caratteristiche fondamentali che derivano da questa mentalità sono:

  • la Qualità Totale deve coinvolgere tutto e tutti: persone, hardware, software, strumenti, ambienti, ecc.;
  • la formazione va garantita in maniera continua a tutti i livelli, a partire dal top management;
  • lo strumento principale per attivare la qualità in maniera capillare sono i Circoli della Qualità nei quali poche persone si impeganno per un breve periodo per risolvere un problema o migliorare una situazione;
  • un altro strumento utile è quello degli audit;
  • anche i metodi statistici contribuiscono alla buona riuscita della Qualità Totale;
  • occorre ricordarsi che gli standard stabiliti vanno rivisti e aggiornati periodicamente per adeguarli alle nuove esigenze
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